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  • Writer's pictureEmanuele Giacomo Dalla Torre

Oggi su la Repubblica - intervista con Cristina Bettin sul bando MAECI


«Contestare Netanyahu è più che legittimo, ma non si può boicottare l’Accademia, non c’è politica nella ricerca». A spiegarlo in una lettera al ministro Tajani è Cristina Bettin, docente alla Ben Gurion University of the Negev e presidente dell’Associazione di accademici e scienziati d’origine italiana in Israele.

10 Aprile 2024


Come giudica la scelta di alcuni atenei di interrompere la collaborazione con quelli israeliani?

«Mi preoccupa e mi turba. Preoccupa perché non vorremmo che fosse l’inizio di qualcosa di peggio. E turba perché ritengo che sull’opposizione al bando ci sia ignoranza e malafede».


In che senso?

«Da parte dei contestatori non c’è chiarezza, si fa una gran zuppa senza spiegare che il bando Maeci fa parte di un accordo in piedi dal 2002 grazie al quale sono stati finanziati 200 progetti triennali per i quali l’Italia stanzia 1.100.000 euro e Israele altrettanti. Bloccando i bandi non si ferma il governo israeliano ma si penalizzano per primi gli studiosi italiani e poi quelli israeliani, che non sono solo ebrei ma pure musulmani».


Chi protesta sostiene ci sia un rischio di dual use delle tecnologie.

«Ma l’accordo del Maeci parla di tecnologie su acqua, suolo e ottiche di precisione, non di guerra. Un solo esempio: Israele è leader mondiale in desalinizzazione dell’acqua, siamo grandi esportatori, anche a Gaza».


La tempistica del bando, a guerra già in corso, viene contestata.

«Ma la ricerca è uno strumento di pace, non ha colore o confini, e serve a migliorare le condizioni di tutti, non a peggiorarle».


Gli studenti accusano gli atenei israeliani di non essersi distanziate dalle politiche di Netanyahu.

«Nei nostri campus non c’è la stessa tradizione di protesta che c’è in Italia, ma migliaia di persone scendono in piazza a Tel Aviv e a Gerusalemme contro il governo e tra loro ci sono tanti universitari, ricercatori, docenti che pretendono la liberazione dei 136 ostaggi ma anche il cessate il fuoco».


Nella lettera a Tajani parla di boicottaggio antisemita, è così?

«Sento studenti urlare che i terroristi di Hamas sono combattenti, che per gli ultimi 75 anni di storia Israele ha meritato 1200 morti, li sento accusare ebrei italiani di sionismo, impedirgli di parlare. Se non è antisemitismo questo... Credo sia legittimo protestare e avere una coscienza sociale, meglio contestare che fare l’influencer, ma negare il 7 ottobre o ridurlo a un atto di resistenza mette i brividi. E poi c’è dell’altro».


Cosa?

«Perché gli atenei italiani boicottano solo gli accordi con Israele? Perché non parliamo degli agreement che l’università di Torino ha con l’Iran? O con la Cina? Se si pone un problema morale allora vale per tutti».


A Tajani voi cosa chiedete?

«Di potenziare le collaborazioni anziché eliminarle. Sarebbe importante sostenere anche la mobilità degli studiosi, creare una Fondazione per finanziare ricerche nelle materie umanistiche come in Usa e in Germania e organizzare corsi o seminari su Israele, sul suo popolo e sull’ebraismo italiano per sapere di cosa si parla».



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